AUGURI, DOTTORE, DA UN PAZIENTE QUALUNQUE

Sono qua.
In pigiama. Solo.
Ho delle bandinelle ai lati del letto e non riesco a scendere.
E’ per la mia sicurezza, dicono. Sarà. Quando ci sono i miei parenti, me le abbassano.
Ma i miei familiari possono entrare solamente dalle 12 alle 14 e dalle 18 alle 20. Troppo poco. Ho paura. Non ho ben capito di che malattia soffro, nè perché mi trovo ricoverato in questo reparto.
Dicono che sono anemico… mi parlano di poche piastrine… dovrò fare una biopsia ossea… Ma io non conosco il significato di queste parole. E mi vergognavo a dirlo. Se mi parlano di fresa e tornio, capisco tutto, era il mio mestiere…ma queste piastrelline proprio non capisco cosa siano.
Vedo la gente che lavora qua che parlotta dietro la porta con i miei familiari. Ma nessuno ha la pazienza di spiegarmi qualcosa, quindi oscillo tra l’idea di non aver niente, e il pensiero di aver qualcosa di terribile che mi porterà alla morte a breve.
Chiedo spiegazioni al personale vestito di bianco che si aggira per la mia camera. Infermieri? Medici? Preti? Non riesco a capire, sono vestiti tutti molto simili. E io sono così confuso.
Oggi è la Notte Santa, la notte di Natale. Quella notte magica in cui nascondevo i regali per le bimbe sotto l’albero.
E ora la passerò qua, da solo. Le mie figlie mi porteranno una fetta di pandoro, mi hanno detto stamattina. Ma io preferirei una fetta di serenità e di speranza.
Ho paura. Mi sento sottomesso, in pigiama, scalzo, davanti a un medico con un lungo camice e strani strumenti in tasca. Sono impotente. Ignorante.
Eppure sono sempre stato un uomo autonomo. Forte. Il riferimento per gli altri operai. Il padre di famiglia che si preoccupa di tutti. E ora sono io la preoccupazione di tutti. Ma non mi dicono niente.
Voglio sapere, voglio essere consapevole del mio destino. Non voglio un medico che mi prescriva solo degli esami, ma che mi doni il suo tempo. Tempo per il dialogo, per le spiegazioni e, perché no, anche per il conforto.
Non ho nessun parente medico. Nessuno che mi traduca queste parole straniere. Leucemoide, mi pare di avere udito. Non conosco neanche nessun dirigente ospedaliero ne un politicante che possa chiedere per me un trattamento di favore, tramite mille telefonate disturbanti. E neanche lo vorrei, per come sono fatto. Non voglio disturbare. Eh si, sono molto orgoglioso, sempre stato. Si dice che con gli anni i difetti peggiorino, e mi sa che è vero.
Tra poche ore è Natale.
I camici bianchi si dimezzeranno e torneranno a casa dalle loro famiglie. E io avrò ancora meno possibilità di chiedere e di capire qualcosa. Chiederei il tempo di chi mi assiste. Se possibile, anche un pizzico di gentilezza. Se non è possibile, almeno il rispetto.
Anche in questo ridicolo pigiama a righe che mi aveva comprato mia moglie prima di morire, sono un uomo.
Sarò un uomo malato, ma rimango comunque prima di tutto un uomo.
Poi, in questa Notte Santa, arriva lei.
Una dottoressa, mi pare di capire.
Mi chiede dove sono nato. Già penso sia una mera informazione da registrare su qualche carta, o peggio ancora, un’informazione da passare alle pompe funebri.
“Cividale del Friuli”, rispondo.
Lei prende una sedia, e si accomoda vicino al mio letto.
“Ecco si, lo avevo letto”, mi dice. E inizia a spiegarmi che lei conosce bene quei luoghi. Ci va spesso a zonzo con la sua cagnolina. E d’estate va a fare il bagno nel fiume a Vernasso o a Loch.
Mi riaffiorano mille ricordi. Di quando, da ragazzo, ci tuffavamo nel Natisone dalle rocce. E di quando ho perso un cugino che – dopo essersi lanciato – non è più riemerso dall’acqua. Glielo racconto.
E poi dilago su argomenti più leggeri, come di quella volta in cui – con i miei amici d’infanzia – avevamo fondato il primo (e unico) Udinese Club del mio paesino. E di come mia mamma si era messa a cucirmi una lunghissima bandiera bianco e nera.
Inaspettatamente, la dottoressa mi racconta di essere abbonata allo Stadio Friuli da oltre 20 anni. Proprio ieri aveva affrontato il freddo gelido di questi giorni per andare a tifare sugli spalti del nostro Stadio. “Cavolo, avrei voluto sentirla almeno per radio” le dico.
Allora lei si allontana, e ritorna dopo pochi minuti con il Messaggero Veneto dove posso leggere il resoconto della partita, le pagelle, l’editoriale di Simeoli. “Meglio di niente” mi dice.
Parlando e leggendo, sono tornato un uomo.
Non più solo un paziente, non più solo un malato. Ma un uomo. Con le proprie passioni, i propri ricordi, il proprio passato.
In questa Notte Santa, mi sento un po’ a casa anche lontano da casa.
Ho visto nascere Gesù in quella donna sconosciuta che ha condiviso un po’ del suo tempo in questa notte speciale insieme a me. Non mi ha trattato con condiscendenza, non mi ha chiamato “caro tesoro”.
Mi ha trattato con il rispetto dovuto a una persona più anziana.
E allora è stato Natale anche per me.
Vi auguro dottori, di oggi e di domani, di riconoscere nei vostri pazienti vostro fratello, vostro padre o un vostro amico.
Vi auguro di trattare tutti con rispetto e allo stesso modo, dal semplice contadino al ricco imprenditore.
E che questo modo sia il miglior modo possibile, sia in termini di professionalità, che di dialogo e di umanità.
Vi auguro di non perseguire la diagnosi ad ogni costo e con ogni mezzo, ma di perseguire sempre e solo il bene del paziente. Il che, a volte, può voler dire anche solo alzare le mani e accompagnare con dignità una persona nella fase terminale della sua vita. E in questo caso dobbiamo comprendere ed accogliere le difficoltà di accettazione anche dei parenti che affrontano questa fase dolorosa.
Vi auguro di essere sempre uomini che curano altri uomini.

Un dolce e sereno Natale a tutti voi.

15 risposte a “AUGURI, DOTTORE, DA UN PAZIENTE QUALUNQUE”

  1. Articolo bellissimo … che sento e condivido profondamente… Grazie, dal cuore, e buon Natale a ciascuno di noi, Antonella

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  2. Medicina narrativa!! medicina dimenticata! Ben venga un simposio su! Ma chi vorrà mai sponsorizzarlo? Una ditta farmaceutica?l’ASL? La Regione?
    Forse gli ammalati. Chi????
    Buon Natale Chiara un abbraccio speciale a Martina

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    1. Gli ordini dei medici già hanno fatto, e continuano a fare, eventi di medicina narrativa.

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  3. È vero! Il paziente non è e non deve essere considerato solo un ammalato. Dentro quel pigiama a righe non deve scomparire l’uomo che vi è,con il bagaglio affettivo e culturale che lo distingue come persona.Il medico deve entrare in qualche modo in quel mondo interiore perché il paziente ha bisogno anche di quelle cure che rispettino la memoria di un uomo sano,forte e impegnato.
    Brava,dottoressa,continua ad assistere con amore il paziente e l’uomo,il corpo e l’anima di chi all’improvviso si ritrova solo e frastornato in un altro mondo,luogo che non capisce e che lo tiene lontano dalle proprie passioni e dai propri cari.

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  4. Non mi sorprende ciò che ho letto, l’ho sempre pensato, anche da medico; e ho sempre cercato di metterlo in pratica. Talvolta ci sono riuscito.

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  5. Che splendida piccola grande storia, davvero grande. parola di un vecchio medico ospedaliero e, nel contempo, a volte, malato…ho sempre pensato che il rapporto umano tra medico e paziente fosse cosa importantissima. Certo, la scienza, la tecnica ( ero un chirurgo…) non devono mancare, ma senza quel rapporto diventano quasi una disumana sperimentazione e nient’altro…Buon Natale.

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  6. Splendido articolo. ..
    Umanità vera
    Sentimenti generali
    Condivido tutto
    Sì resta sempre persone
    prima di diventare oggetto di ricerca
    Un abbraccio affettuoso a tutti i ricoverati…e a quelli che sanno assisterli con umanità

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  7. Pietro, sono un ex infermiere,sono rimasto commosso, (da un paziente qualunque), hai ragione ‘, un paziente ha il diritto di sapere ed essere ben informato della sua diagnosi. eccetto qualche caso, io ho sempre lottato per il rispetto del paziente e ne sono fiero, la mia coscienza è limpida. Caro amico ti auguro ogni bene , DIO ti benedica.un abbraccio pietro.

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  8. Scritto da una persona che si dichiara ignorante perché conosce solo piastrelle, fresa e tornio, eppure rivela una sensibilità che neppure una laurea ha dato a certe persone. E’ stato capace di descrivere il suo stato d’animo in modo davvero trascinante e coinvolgente. Tutto il personale ospedaliero e poi tutti gli altri dovrebbero leggere questa splendida lettera per ricordarsi con chi hanno a che fare quando una persona viene affidata alle loro cure. Cure che non sono solo medicine, esami e verdetti. C’è bisogno prima di tutto di umanità, di comprensione e di riconoscimento della dignità di cui tutti hanno diritto, s vogliamo distinguerci dagli… Stavo per dire animali, ma spesso anche loro mostrano sentimenti che dovrebbero didtinguere noi umani, Auguri infiniti a questo eccellente paziente

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    1. Sono contenta ti sia piaciuta la lettera. Forse non segui il mio blog, ma tutti gli articoli sono scritti da me..un medico…che ha provato per una volta a mettersi nei panni di un paziente. E dal tuo commento, penso di esserci riuscita. Grazie ancora.

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  9. Bellissimo! Penso che andrebbe fatto leggere a tutti gli operatori sanitari. Purtroppo tanti, con il trantran giornaliero del lavoro, dimenticano che il paziente è una persona con bisogni e paure. Complimenti a lei, che evidentemente è un medico che non ha dimenticato…

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  10. Un racconto, commovente e pieno di umanità. L’empatia è un meraviglioso dono.

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  11. Condivido e provo a cambiare le cose.
    Se avete 5 min vi aspetto su http://www.obiettivoippocrate.it
    Grazie

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  12. Avatar Bianca Maria Faramelli
    Bianca Maria Faramelli

    Qualche lacrima a riprova che il m io dolore è ancora fresco e della paura sdi uin futuro sconosciuto che mi fa sempre più paura. Spero di incontrare persone come quella dottoressa che rispettino sempre il mio diritto ad essetre curata ma anche ad aiutarmi ad andare via nel modo migliore senza accanimenti ma soprattutoo con minimo dolore. Bello!

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