Sottotitolo 1: C’è chi dice NO
Sottotitolo 2: Appendo il fonendo al chiodo?
Sottotitolo 3: Non volevamo salvare il mondo, ma solo le persone
Ti guardi dentro. Hai quasi 40 anni e sei un medico.
Osservi le mani che hanno palpato mille addomi, mille colli, mille toraci sconosciuti. Quante volte le tue orecchie hanno indossato le olivette del fonendoscopio per entrare nel regno privato di toni cardiaci, di murmuri vescicolari e di sfregamenti altrui.
E ripensi con emozione al primo fonendoscopio… al primo camice… alla borsa di cuoio da dottore che il tuo santolo ti regalò per la laurea.
Non volevi salvare il mondo, ma volevi salvare le persone.
Ed è per questo che hai scelto una delle specialità più complete: medicina interna.
E’ solo conoscendo il tutto che puoi scorgere i particolari … e spesso sono proprio i particolari che aiutano a capire le persone che hai davanti e a curarle.
Il buon medico, a differenza di quanto si pensi oggi, non è colui che prescrive tanti esami, ma è quello che innanzitutto sa scegliere se fare un esame o meno.
Il nostro scopo è curare, non documentare. Guarire… quando questo è possibile.
E allora ti vengono in mente le persone che sono morte mentre le avevi in carico.
Mi sento privilegiata nell’averli potuto assistere nella fase finale delle loro vite e spesso nell’averne custodito qualche piccolo ricordo condiviso… o a volte solo nell’avergli accarezzato la mano negli ultimi respiri.
Ricordo bene il primo paziente che mi morì dopo settimane di ospedale.
Ricordo il letto, ricordo la fede nella sua mano. Ero ancora specializzanda in clinica medica. Un novantenne con sindrome nefrosica severa in mieloma multiplo in fase avanzata… ma soprattutto un uomo arguto e colto che mi raccontò fiero dei suoi studi di fisiopatologia, del suo libro pubblicato, dei suoi allievi. Mi affascinava ascoltare il racconto della sua vita.
E nella tua mente la sua storia si completa con quelli di tanti altri… l’ex militare che affrontò la campagna di Russia, l’emigrato in Argentina dove conobbe la moglie venezuelana e il cui figlio rischiò di essere uno dei tanti desaparecidos sotto la dittatura… l’ingegnere che girò l’Africa per una aiutare a costruire una particolare turbina di auto…
Poi un giorno, poco prima di Natale, arrivi in reparto e il tuo paziente non c’è più. Ricordo le lacrime nella cattedrale di Udine.
Perché poi ogni paziente ti riporta alla mente altri pazienti o anche parenti per cui hai sofferto e che ora non ci sono più.
Noi dottori siamo prima di tutto persone che incontrano nel proprio lavoro tante altre persone che in quel momento diventano pazienti: ognuno di noi ha la propria storia, il proprio passato, la propria dignità.
L’internista non cura la malattia, ma forse non cura neanche il paziente, ma cura la persona.
Il nostro compito è accogliere chi arriva nel nostro reparto o nel nostro ambulatorio con la mente fresca e preparata da numerosi aggiornamenti, ma anche con il cuore disponibile per capire il problema che il paziente ci racconta.
Ma nella sanità attuale riusciamo veramente a risolvere quel problema?
Da quando la sanità non è più un servizio ma un’azienda, che possibilità abbiamo noi – singoli medici innamorati del nostro lavoro – di agire per il meglio?
I posti letti in medicina sono stati ridotti, ma i pazienti forse non lo sanno e continuano ad ammalarsi lo stesso.
La maggior parte delle volte sono patologie complesse, che interessano più organi e apparati, e gli specialisti di singole branche non sono in grado di gestirli. Ma i posti letto in medicina scarseggiano. E allora aggiungi letti, qua, su, giù, prima o poi si faranno i letti a castello, per ora aggiungi un terzo letto in una stanza da due, a volte fuori reparto e spesso questo vuol dire proprio in un altro padiglione lontano, quindi con minor possibilità di controlli e monitoraggio da parte di chi ce l’ha in carico.
Ma è etico tutto ciò? E’ dignitoso per il malato e per me che ne ho la responsabilità? E’ giusto?
No, non lo è. E allora io dico NO.
Non volevamo salvare il mondo, ma almeno salvare le persone.
La sanità sta perdendo pezzi, ma soprattutto sta perdendo l’obiettivo. Il burocrate conta più del clinico, il numero di prestazioni conta più degli impegni presi con le persone.
In questo scenario ognuno reagisce come può:
c’è chi scappa dalla medicina d’urgenza per il sovraccarico di lavoro e per i rischi medico-legali; chi lascia la sanità pubblica e si crea il proprio ambulatorietto privato; chi si specializza in una branca super specialistica e perde di vista il tutto per curare solo il particolare; chi fa referti ambulatoriale di 3 pagine senza scrivere nulla (solo copia-incolla di tutta la storia precedente al visore referti + lista della spesa dei farmaci e degli esami da fare); chi se ne lava le mani e invia il paziente da un altro specialista (e questo da un altro… quest’ultimo da un altro ancora… in un circolo vizioso infinito che costringe il paziente a un girone dantesco nei vari reparti/ambulatori).
Ed io? Io dico NO.
Sono stanca di vedere prescrivere esami inutili se non dannosi. Non voglio essere come quei colleghi che stilano reperti senza guardare in faccia ne spiegare al paziente qual è il problema (“questa è la risposta, la porti al suo medico”).
Sono delusa dal vedere un novantenne in fin di vita che viene ingozzato di statine e allopurinolo.
Mi fa tanto dolore vedere un paziente con neoplasia avanzata e metastatizzata in ogni sede possibile che muore con sofferenza il giorno dopo di una seduta chemioterapica.
Mi sento inutile ad eseguire doppler carotidei a trentenni che hanno paura di avere una placca perché hanno avuto delle lievi vertigini.
So che siamo in tanti ad essere giovani medici entusiasti, bravi, preparati e che viviamo il nostro lavoro come una missione… ma in questo momento ci sentiamo molto delusi e demotivati. Anche voi dite NO?
E allora?
Le soluzioni sono due.
O mi metto a fare il pane (in realtà è più un’idea di una mia cara collega, ma adoro la fragranza di pane che evoca questo pensiero) o continuo a lavorare secondo scienza, coscienza e umanità in una struttura sanitaria che rispecchia i miei valori.
La verità è che devo ancora trovare quella struttura.
Ma ne sto cercando la strada: pare sia da girare alla seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino.
La volete cercare o creare insieme a me?
Approfitto di questo post per augurarvi con il cuore una felice e serena Pasqua 2018.
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