Non riesci a dormire. Domani è Natale. Tu sei appena smontata dalla notte e ti giri e rigiri nel letto. Ripensi a quel dolore addominale… eco negativa, PCR spenta, eppure quella minima resistenza parietale non ti torna… no, no, dai, non pensarci, devi dormire… e quel brutto ictus… arrivato praticamente in ospedale al tempo zero… ma il tacchista doveva ancora arrivare quando sei smontata…
Basta. Ora prendi 15 gocce di diazepam altrimenti come al solito non dormi niente, non recuperi e domani- giorno di Natale- hai pure il rientro anticipato.
Gocce prese. Mi sento già più rilassata. Il suono del telefono del 118 mi risuona in testa attenuato mescolandosi con le proteste del parente in attesa e con l’aroma del caffè della cucina… ma no, sono nel mio letto e mi sto addormentando…
Suonano i rintocchi di mezzogiorno. Apro gli occhi e vedo una vecchia suora con una croce sul velo. “Ragazza mia” mi dice. “Dammi la mano che ti porto a vedere il passato”. Le afferri la mano e ti porta indietro. Nel tempo e nello spazio. In un vecchio ospedale, nel cuore della cittadina, proprio in prossimità del campanile. Tutti si salutano e si conoscono. E pur essendo piccolo, c’è tutto. Lo perlustro come volando: vetrini in anatomia patologica, laboratori completi, pianti di neonati, libroni, siringhe di vetro, tanto personale, registri di carta che sta già ingiallendo, medici che si spostano da un piano all’altro per consulti continui, il primario di medicina che va a vedere il vetrino della biopsia epatica inviato; i pazienti ancora abbastanza pazienti, i parenti rispettosi, i colloqui fatti con il tempo necessario, le lastre sul diafanoscopio, le provette spedite per posta pneumatica; medici anziani accanto a medici giovani a insegnare, illustrare, far provare, ripetere e ripetere, e anche riprendere e sgridare.
Suonano nuovamente i rintocchi di mezzogiorno. Apri gli occhi, sei ancora nel tuo letto, devi aver sognato. Suona il campanello con un timbro metallico, non sembra quello del tuo appartamento.
Vai ad aprire. Ti trovi davanti un vecchio medico pensionato con cuffia e babucce.
“E questo chi sarebbe?”, pensi tra te e te.
“Sono il medico del futuro”, risponde il vecchio. Lo guardi e ridi. “Dai, su, domani è Natale, mica Carnevale!”.
Ti afferra per le spalle e ti fa voltare: vedi un ospedale ultra-moderno, pareti tutte vetrate, con perdite d’acqua dal soffitto quando piove.
“Suvvia, ragazza”, dice il vecchio pensionato. “Non è che si può costruire un ospedale moderno senza risparmiare un po’qua e un po’là.”
Ti guardi attorno e vedi tanti camici bianchi che avranno 70-75 anni. Lavori forzati? Avranno abolito le pensioni?
Ne fermi uno e glielo chiedi. “Eh… sì, sì, sono in pensione..ma ho ancora tanto da guadagnare… ehm, da dare, volevo dire. Medici giovani non ce n’è, e allora…”.
Ti prende una brutta sensazione. Corri in Pronto Soccorso. È vuoto. Non c’è nessuno. Ti viene l’ansia. È tutto super moderno, ma tutto vuoto. Là in fondo c’è qualcuno che si muove, ha una tuta blu. Un’operaio. Gli chiedi dov’è tutto il Pronto Soccorso perché ti stai sentendo male. “Ma come, non lo sai? Tutto appaltato. Esci fuori, subito sulla destra c’è un prefabbricato con scritto C.P.L. (cooperativa privatamente lucriamo) e lì ti assistono. Hai soldi però? Perché devi dare un anticipo, non è che si fidano del tutto della convenzione con il pubblico”. Urli, non può essere vero, è un incubo. Ma invece di svegliarti, ti trovi dentro il pre-fabbricato.
I medici avranno 25 anni, sì e no laureati. Infermieri pochi, sulla divisa c’è scritto più che altro volontari.
“Ehi ragazzi… là… c’è uno da intubare… fate in fretta ..” urli. “Sì sì, calmati, stiamo aspettando l’ anestesista pensionato del secondo piano… ha 73 anni… non è che può mettersi a correre…”. Urli ancora, e ti svegli nel tuo letto. Sei sudata, tremi, hai paura di quella visione del futuro che hai visto.
Guardi l’orologio e guardi la data. Sono le sei del mattino del 25 dicembre. Hai dormito quasi 18 ore… forse hai esagerato con le gocce… o forse in questa notte, c’è stato qualcosa di magico. O di tragico.
Ti alzi, ti lavi, ti vesti e ti fai gli auguri. Ti apri il regalo che ti eri fatta, incartato e messo sotto l’albero: il rinnovo dell’abbonamento di uptodate anche per quest’anno. Esci con il buio, nell’aria gelata invernale, con le stelle ancora visibili in cielo. Il tuo cambio ti sta aspettando, sicuramente sta bevendo il caffè con gli infermieri smontanti, se non è arrivata l’ennesima urgenza dell’alba.
E allora ti rendi conto di essere tu il fantasma della Medicina Presente che mancava.
Tu, che ancora resisti.
Tu che ami il tuo lavoro, ti ci dedichi, vai a lavorare felice, tu che ogni giorno impari.
Tu che ti paghi i corsi doppler, tu che ti abboni ad uptodate, tu che non hai scelto oculistica, tu che guadagni meno, forse sei anche meno rispettato, ma ti senti un medico vero.
Tu che fai un’ora di colloquio con un parente in crisi, pur sapendo che quell’ora sarà un’ora in più sottratta alla tua famiglia, al tuo tempo, ma lo fai.
Tu che continui a lavorare anche se ti portano via tutto, i punti nascita, gli esami di laboratorio sostituiti da semplici POCT.
Tu che vedi pazienti abbandonati dopo il fallimento di costose terapie, ma per fortuna ci sei tu …
Tu che hai un orario che non rispetti mai… tu che chiami casa (quando riesci) per avvertire che farai tardi.
Tu che in certe giornate non riesci a fare pipì e dopo un po’te lo scordi… tu che salti il pranzo, tu che almeno cerchi di portarti dietro una bottiglia d’acqua.
Tu che cerchi di trattenere le lacrime quando parli con certi familiari, perché non è professionale, ma gli occhi si inumidiscono lo stesso e allora cerchi di salutare in fretta per voltarti e non farti vedere mentre piangi, mentre rivivi negli altri i tuoi drammi o i drammi che vivrai…
Tu che non riceverai regali di Natale, al massimo qualche grazie ma sai che hai fatto il tuo… con il fonendo, il cuore e l’anima.
Ecco chi, nonostante tutto, salverà una briciola di quel che resta della medicina. Tu.
E allora Buon Natale a te e grazie di esserci.
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