Un equipo di medici

Un medico argentino nel proprio paese guadagna circa 400 dollari al mese. Per avere uno stipendio decente, per mantenere se stessi e famiglia, devono svolgere anche 3-4 lavori insieme. Ora tocca il turno in Pronto Soccorso nell’ospedale pubblico della città; poi si va nell’ambulanza privata del soccorso territoriale, il venerdì mattina nell’ambulatorio de consulta, e il martedì e il giovedì c’è ambulatorio cardiologico. Tante ore di lavoro, tanti turni,  tanto studio per guadagnare meno della metà della metà di quanto guadagna un medico in Italia.

Non è solo questione di soldi. È questione di futuro, di dignità, di prospettiva. Da me dipende anche il futuro dei miei figli, delle generazioni future.  Perché gli argentini sanno ancora vedere in prospettiva.  Non ci siamo solo noi, ma anche coloro che ci succederanno. E allora si parte, si affronta l’incertezza, il viaggio, il distacco e si arriva in Italia. Un po’ come le saghe sudamericane della Allende e di Marquez, si parte per migliorare le generazioni future, oltre che la nostra stessa vita. C’e quel realismo magico che pervade sempre le nostre scelte e la ricerca di un futuro migliore.

E si arriva a lavorare nei Pronto Soccorsi d’Italia.  Si arriva con entusiasmo, con voglia di partecipare,  di condividere, di mettersi a disposizione e di imparare. Perché c’è sempre qualcosa da imparare.  Ma il mestiere lo sappiamo, fare il medico è ciò che siamo e ciò che abbiamo sempre fatto. Abbiamo i titoli, abbiamo le competenze, abbiamo tradotto ciò che sappiamo in una lingua non nostra, anche se così simile. Noi arriviamo in Pronto Soccorso per rimanere, arriviamo in Italia per viverci.

E allora c’è l’attesa lunga della cittadinanza per i più fortunati, per altri arriverà solo dopo molti anni, c’è il permesso di soggiorno, l’attesa che le bimbe piccole di 1 e 9 anni ti vengano a trovare per Natale. L’altro giorno, quando ho visto arrivare il mio collega argentino, ho notato un velo di tristezza negli occhi: pensavo problemi al lavoro, e invece era per la mancanza della sua famiglia, così lontana… con le videochiamate sembra quasi vicina… ma consolare attraverso uno schermo una bimba che piange perché non può abbracciare il papà, no es lo mismo.

E lavorando si fa squadra. Somos un equipo. Si è insieme, argentini e italiani. Quasi a ricreare quel gruppo di Pronto Soccorso che si è andato perdendo nel tempo, quale frutto di scelte sbagliate, di turnistica pesante, di accuse, di aggressioni, di clima deteriorato, di medici gettonisti battitori liberi.

Ma può un Pronto Soccorso reggersi su gettonisti esterni che fanno il turno, come fosse un compitino su una pagina bianca, e se ne vanno? Proprio in Pronto Soccorso dove dovrebbe essere la forza del gruppo che aiuta a salvare e a salvarci? Dove la pagina non dovrebbe mai essere bianca, ma dovrebbe essere quella di un’agenda scarabocchiata un po’da tutti, con consegne congiunte, e pagine da girare tutti insieme?

Bene, noi siamo un gruppo. Somos un equipo. Anzi, una task Force, come mi ha detto oggi un mio collega argentino. ” Tu no te preocupe, tu se hai bisogno chiamami che arriva la Task Force”. Ed è così che, nelle poche pause che permette un Pronto Soccorso, io con davanti il mio caffè e el y ella con su mate, speriamo di ricreare un equipo.

Perché privato ed etica non sono opposti, ma sono sovrapposti quando il privato è fatto da persone giuste.

Grazie Assessore Riccardi per aver condiviso il.suo tempo con noi

Una replica a “Un equipo di medici”

  1. Avatar Leonardo Ponce
    Leonardo Ponce

    Meraviglioso riassunto della nostra realtà.

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