Quando penso alla mia vecchiaia, mi immagino in un piccolo appartamento disordinato di un quartiere malfamato, circondata da gatti, a bere whisky cola e a sentire musica latino-americana. Non so perché i gatti, in realtà non li sopporto, forse sarà un modo per espiare i peccati di una vita, ma per il resto potrebbe andarmi bene… non sarebbe un brutto modo per aspettare il trapasso. Devo solo ricordarmi di lasciare aperta una finestra per far uscire i gatti e l’anima nel caso in cui dovessero trovare il mio corpo dopo tanti giorni.
Questa immagine potrebbe però svanire in seguito a un ricovero ospedaliero. Se sei anziano e vivi da solo, sai quando entri, ma non quando esci. Non parliamo poi se sei caduto (pericolo gatti da inciampo) e ti sei fratturato il femore: tra riabilitazione, RSA, recupero, UVM varie (spesso fatte senza l’interessato) potrebbero dirti che è meglio che tu rimanga in una Residenza per Anziani. Tutta colpa dei gatti. Vedete che c’è un motivo se non li sopporto.
Eppure io non ci voglio andare, voglio rimanere sul mio divano impolverato, con il mio whisky cola in mano, e la radio a tutto volume (forse, per quella volta, collegata h24 su Radio Maria).
E invece no. Mi dicono che devo andare in una casa di riposo. Mi assegnano anche un Amministratore di Sostegno. Questo mi può anche andare bene: qualcuno deve pure pagarmi e portarmi bollette e bottiglie.
Ma in un ospizio no. E dunque chi decide?
Si può obbligare un anziano ad entrare in una casa di riposo? In fondo lo facciamo per il suo bene … ma sappiamo noi veramente qual è il suo bene?
Devo dire che non ho trovato molta letteratura al riguardo, e la principale è di pertinenza giuridico-legale che ho cercato di tradurre, anche se – in effetti – negli ultimi anni mi sto facendo una tale cultura di legge che potrebbero darmi una laurea ad honorem.
Ma è importante dal punto di vista medico rispondere a questa domanda, o lasciamo che se la sbrighino assistenti sociali e parenti? E’ fondamentale direi; infatti l’anziano che viene collocato in una Residenza Geriatrica contro la sua volontà, ha spesso una prognosi infausta dopo un termine più o meno lungo: può cadere in una grave depressione, arrivare fino ad atti suicidari, rifiutarsi di alimentarsi e idratarsi e, in poche parole, lasciarsi andare.
“Tutto ciò che viene privato della sua libertà perde sostanza e si spegne rapidamente” diceva Edouard Manet.
E vi posso assicurare che – per quanto una Residenza per Anziani possa essere accogliente come quella in cui ho il piacere di lavorare, con servizi fisioterapici, di animazione, di parrucchiere, bar … – per molte persone (eccomi!) la libertà non ha eguali.
E’ più importante la libertà di decidere della propria vita e di come passare gli ultimi anni, o la mera tutela sociale? So che non dovrei suggerire le risposte nelle domande, ma che volete farci, sono fatta così.
Il diritto alla libertà è riconosciuta ovunque, da strumenti internazionali ed europei: a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazioni Unite (1948), nella Convenzione per la Protezione dei diritti e delle Libertà fondamentali del Consiglio d’Europa (1950), nella Carta dei Diritti Fondamentali della Unione Europea (2007), nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità (2006) e – non ultimo come importanza – dall’articolo 32 della nostra Costituzione che dice che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
E allora, vi chiederete voi, se ci sono tante forme di tutela, perché ti preoccupi?
Mi preoccupo perché molto spesso l’anziano è fragile, non conosce i suoi diritti, non ha i mezzi per contattare un avvocato e si ritrova – senza neanche essere interpellato – a finire la propria vita in una casa di riposo perchè il suo Amministratore di Sostegno e l’assistente sociale, o i suoi figli, hanno deciso che è la cosa migliore per lui.
Ma il decadimento fisico non sempre è associato a un decadimento cognitivo; se l’anziano mantiene la capacità di decidere, dovrà dare il suo consenso esplicito all’ingresso in un istituto geriatrico. Il ricovero “involontario” in queste strutture si ha non solo quando il paziente rifiuta, ma anche quando non è in grado di decidere.
La passività dell’anziano – anche nel caso in cui non abbia la capacità decisionale – non è comunque un consenso. In questo ambito pertanto non esiste un consenso tacito o presunto ed il consenso dell’ADS o dei familiari non è sufficiente in quanto l’ingresso involontario in una struttura “chiusa” va a intoccare il diritto fondamentale della libertà individuale.
Quindi l’ingresso “involontario” in un istituto geriatrico (ad esempio se il paziente rifiuta e i figli – nel caso del paziente con demenza – hanno idee opposte) può avvenire esclusivamente con l’autorizzazione del giudice tutelare.
Il diritto alla libertà individuale include la libertà a deambulare e il diritto a decidere liberamente il luogo della propria residenza. La già citata Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, svoltasi a New York in dicembre del 2006, obbliga gli stati firmatari a riconoscere il diritto delle persone con disabilità a scegliersi la propria residenza (art.18) e ad assicurare che non si vedano privati della propria libertà in forma illegale o arbitraria e, in nessun caso, la esistenza di una disabilità può giustificare una privazione di libertà (art.14).
In Spagna, la Procura Generale , ha denunciato in modo esplicito la pratica abituale di effettuare l’ingresso in centri residenziali senza il consenso dell’anziano, esclusivamente concordata tra i familiari e la struttura residenziale, “arrivando anche a concordare il regime di ricovero, restringendo o escludendo la libertà personale, restringendo la possibilità di uscite all’esterno e di comunicazioni telefoniche o postali, il che può risultare gravemente lesivo per i diritti costituzionali di base e per la dignità della persona”.
La giurisprudenza è più chiara quando si parla di Trattamento Sanitario Obbligatorio nel paziente con malattia mentale: il fine di tale ricovero è curativo e il carattere è temporaneo. Possiamo traslare queste indicazioni anche per l’ingresso dell’anziano in un centro geriatrico?
Direi di no. Innanzitutto le persone anziane non necessariamente soffrono di un’acuzia clinica, ma piuttosto della perdita dell’autosufficienza che può non richiedere terapia medica specifica, ma solo necessità assistenziale. Inoltre l’ingresso in un istituto non ha generalmente carattere “temporale” in quanto la vecchiaia non è una malattia curabile. In realtà, tuttavia, non sono neanche questi dettagli importanti (centro sanitario o geriatrico/cure mediche o assistenziali/permanenza temporanea o indefinita), ma ciò che conta è che il soggetto o si oppone o non è in grado di fornire un valido consenso: ricordiamoci infatti che l’ingresso in un istituto geriatrico è un ricovero a regime chiuso, che va a intoccare la libertà deambulatoria, in quanto la persona non può entrare o uscire dalla struttura secondo la propria volontà e convenienza.
Sarebbe pertanto da ricorrere molto più frequentemente alla decisione di un giudice tutelare quando ci troviamo di fronte a un ingresso involontario: ciò a tutela sia della struttura, sia dei familiari, ma soprattutto del paziente stesso che spesso non ha voce in capitolo.
Noi siamo medici di quel paziente e siamo tenuti a dargli voce: dobbiamo tutelare la sua volontà e la sua libertà, anche se i parenti, l’ADS o gli assistenti sociali hanno già deciso in sua vece che l’ingresso in una casa di riposo è la soluzione migliore per lui. Ma forse – tutte queste figure – spesso non vedono le conseguenze di questi ingressi “non voluti” nelle Residenza per Anziani: noi medici che ci lavoriamo, le vediamo. Vediamo i pazienti piano piano spegnersi, deprimersi, rifiutare il cibo e lasciarsi andare o- in alcune occasioni – anche compiere atti suicidari veri e propri.
E’ per questo che penso di essere considerata una “rompiscatole” dalle assistenti sociali del distretto, è per questo che non mi faccio semplicemente i fatti miei, ma cerco di cogliere anche questi aspetti prima di dare il nulla osta a un ingresso in struttura.
Ricordiamoci che il giudice chiederà conto a noi medici delle problematiche cliniche e mentali del paziente; una sentenza giuridica spagnola afferma che “in nessun caso può considerarsi come espressione di malattia o disturbo mentale la discrepanza del soggetto con i valori sociali, culturali, politici o religiosi imperanti nella comunità”: quindi vivere una vita più o meno bohemiene o disordinata, non è un motivo sufficiente per privare chiunque della libertà.
Dunque se io, a 88 anni vorrò iniziare la mattina con un gin tonic a colazione, un mate a metà mattina, pane e spuntì a pranzo, una tartaruga da appartamento in braccio e i gatti da intralcio, dovrei poterlo fare senza che mi trasferiscano in modo forzato in una residenza per anziani: certo le mie abitudini e le mie condizioni potrebbero richiedere l’aiuto delle assistenti sociali, ma non il ricovero obbligato.
Ricordiamoci che anche la presenza di un Amministratore di Sostegno già nominato non cambia questa situazione: l’ADS ha il compito di assistere, sostenere e a volte sostituirsi alla persona, senza però limitare del tutto la sua capacità di agire e di decidere. L’ADS pertanto, se il suo assistito rifiuta l’ingresso in una struttura o se il suo assistito presenta un decadimento cognitivo tale da non permettergli di decidere – dovrebbe rivolgersi a un magistrato che – raccolta tutta la documentazione del caso e valutata la volontà residua del paziente – potrà dare il consenso o meno all’ingresso; questa decisione è comunque reversibile.
Nei casi invece di grave, severo e irreversibile decadimento cognitivo, si potrà invece procedere all’interdizione in cui il magistrato – basandosi su numerose ed estese prove e documentazioni – nominerà il “tutore” e non più un semplice ADS; in questo caso il tutore ha pieno titolo per decidere in vece del soggetto.
L’Italia poi è sempre un po’ particolare e variopinta nelle decisioni giuridiche: il Tribunale di Vercelli – sez. civ. Volont. Giurisd., decreto del 28/3/2018, sentenzia che l’ADS può “costringere” l’anziano che si rifiuta a trasferirsi in casa di riposo, se questo non è in grado di occuparsi di sè e la ragione del suo rifiuto è un “mero capriccio”.
La Cassazione inoltre stabilisce nella Sentenza n.22602/2017, che la scelta dell’ADS prevale tutte le volte in cui il rifiuto del beneficiario si fondi su un senso di orgoglio ingiustificato.
Ma chi stabilisce quando l’orgoglio è ingiustificato o quando siamo di fronte a un mero capriccio?
Desiderare di morire dentro la propria casa è un mero capriccio? Cercare di mantenere la propria autonomia residua è orgoglio ingiustificato? Voler continuare a dormire nel proprio letto, magari condiviso per decenni con il marito defunto, è solo un capriccio?
Spero di aver fatto un minimo di chiarezza su aspetti che a volte sono un po’nebulosi o trascurati: ma se mettiamo sempre il paziente al centro, con la sua dignità e i suoi diritti, nella sua complessità, agiremo sempre per il meglio.
Riferimenti
El ingreso involuntario en residencia geriatrica y la autorizacion judicial – bioetica en los tribunaes – Monica Navarro-Michel, Profesora de Derecho Civil, Universitat de Barcelona, Spain -Revista de Bioetica y Derecho – version on-line ISSN 1886-5887 – n.45 -Barcelona 2019
E’possibile obbligare il beneficario al ricovero in struttura? Articolo di Matteo Morgia – http://www.assostegno.it
Si può “costringere” l’anziano ad andare in casa di riposo? Studio Legale Avvocato Antonella Arcoleo – http://www.arcoleo.it
Immagine di copertina: Sulla soglia dell’eternità (Vecchio che soffre) – Vincent Van Gogh – Olio su Tela
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