Il caso (…meglio, la persona) Cospito ci interroga le coscienze su molteplici aspetti; nei media prevalgono gli interrogativi in ambito giuridico (è lecito il 41 bis?) e politico (“il governo non cede ai ricatti”). Io vorrei invece soffermarmi sugli aspetti medici, clinici e medico-legali, che sono poi aspetti che ci portiamo dietro ancora dal secolo scorso, e si intrecciano inevitabilmente con altri temi etici fondamentali, come l’eutanasia e l’autodeterminazione.
Immaginiamo ora un medico che lavora in carcere e si trova a seguire un prigioniero (…meglio, un paziente), che decide di digiunare e lo vede progressivamente deteriorarsi … precipitare… da sano che era sta per andare in coma … Cosa può fare?… ma soprattutto, può in effetti fare qualcosa?
Ora si tratta di casi singoli e sporadici, mentre in passato lo sciopero della fame per i propri diritti, poteva interessare migliaia di detenuti in contemporanea: emblematico è il caso delle proteste tra i rivoluzionari repubblicani irlandesi nel corso del 1900. Allora molti riuscivano a ottenere ciò che desideravano – anche la libertà – ma molti digiunavano fino alla morte. Ma dopo quanto tempo morivano?
Cospito ha superato i 110 giorni di digiuno, verosimilmente con l’assunzione di piccole quantità di zucchero e sale. Gli studi dimostrano che il digiuno completo porta alla morte dopo circa 8-12 settimane (55-85 giorni). E purtroppo anche la pratica dimostra questo: Bobby Sands morì dopo 66 giorni di digiuno, Francis Hughes dopo 59 giorni, Raymond McCreesh dopo 61 giorni, Patrick O’Hara dopo 61 giorni, tutti rivoluzionari irlandesi che morirono in carcere nel 1981.

Cospito è stato trasferito presso il carcere di Opera, dotato di un Servizio di Assistenza Intensificata all’interno delle mura. Ma se uno persiste nel proprio digiuno, qual è la cura medica che può salvarlo? E soprattutto, vuole essere salvato? Cercando di evitare la sindrome da rialimentazione – che può essere fatale quanto il digiuno stesso – si potrebbe riprendere ad alimentarlo con modalità e tempi precisi, ma per il detenuto che fa lo sciopero della fame, ciò equivarrebbe di fatto a interrompere il digiuno e di conseguenza la protesta. Mentre forzare l’alimentazione, va contro il principio costituzionale dell’autodeterminazione, dell’autonomia, della libertà, va contro l’articolo 32 della nostra Costituzione.
Emblematico fu il percorso affrontato in tal senso dai medici che seguivano i prigionieri irlandesi intorno agli anni 20 del secolo scorso: prima del 1917, i medici erano autorizzati a procedere con l’alimentazione forzata tramite sondino naso-gastrico; questa azione tuttavia veniva vista dai prigionieri stessi e dall’opinione pubblica come una tortura, un’ulteriore brutalità sovrapposta a quella carceraria. In seguito al decesso di Thomas Ashe legato alla rialimentazione forzata a cui era stato sottoposto, tale pratica venne giudicata non più etica e i medici non poterono più metterla in pratica. Immaginatevi ora l’angoscia e il disagio vissuto dallo staff sanitario in quel periodo: si trovavano quasi sperduti, gli veniva tolta l’unica possibilità di cura e di salvataggio del loro paziente, eppure proprio questo fatto ha cambiato la relazione tra il medico e il suo paziente, portando a una vicinanza più globale e empatica al prigioniero-uomo e meno meccanicistica, anche se con grandi punti interrogativi.

Lasciamo morire il paziente? Possiamo permettergli di suicidarsi lentamente davanti ai nostri occhi? Ma il suicidio non è un illecito? L’autodeterminazione è sicuramente importante, ma stiamo parlando di qualcosa che è il contrario dell’eutanasia: quest’ultima mira a sollevare da dolori e sofferenze, mentre il digiuno volontario prolungato porta proprio ad autoinfliggersi sofferenze. L’eutanasia riguarda generalmente persone affette da malattie incurabili, mentre in questo caso le persone potrebbero tornare in piena salute e benessere con la ripresa dell’alimentazione. Chi cerca l’eutanasia, desidera essere abbracciato dalla morte, mentre chi fa lo sciopero della fame in carcere, non cerca la morte, ma il riconoscimento dei propri diritti.
Ma come si modificano gli equilibri biochimici-fisiopatologici in chi smette di mangiare? Nella prima fase (nelle prime 72 ore), l’insulina diminuisce e aumenta la secrezione di catecolamine e glucagone che portano a glicogenolisi e lipolisi; i trigliceridi vengono scissi in acidi grassi liberi e glicerolo nella circolazione, da dove vengono poi trasportati per il supporto energetico a muscoli, cuore, reni e fegato. Il glucosio che serve per il nutrimento di cervello e degli eritrociti inizialmente deriva dalla glicogenolisi (prime 24 ore), ma successivamente dalla gluconeogenesi. Nella prima fase il tasso metabolico aumenta, ma poi tende a ridursi con calo della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, e l’organismo si mette più a riposo che può, quasi una sorta di letargo per consumare il meno possibile. Dopo le prime 72 ore di digiuno, i livelli di insulina decadono ulteriormente, i livelli di glicogeno si riducono e il glucosio deriva della gluconeogenesi che nel fegato e nei reni dipende dagli aminoacidi provenienti dai muscoli, dal glicerolo del tessuto adiposo, e dai lattati dalla glicolisi anaerobica nei muscoli. Durante la gluconeogenesi degli aminoacidi, il gruppo amino viene trasformato in urea ed escreto, portando a una perdita di oltre 75 g di proteine (300 g di muscolo) al giorno.
Tutti questi meccanismi di compenso vanno incontro ad esaurimento, o meglio conducono proprio all’esaurimento dell’organismo, determinando il decesso tra le 8 e le 12 settimane dopo l’inizio del digiuno completo; sono stati descritti casi isolati di sopravvivenza fino alla 25a settimana. Il termine inglese “starvation”(che onestamente non saprei come tradurre con esattezza in italiano… inedia? fame? ) inizia quando si perde il 30% del proprio peso; quando si perde il 40% del proprio peso normale, la morte è praticamente inevitabile.
E quali sono i sintomi? inizialmente si hanno deficit dell’attenzione, irritabilità, iperreattività; l’atrofia dello stomaco riduce la percezione della fame, e poi anche della sete, con tendenza alla disidratazione; tutti i movimenti diventano dolorosi per l’atrofia muscolare e la cute diventa secca o fissurata. La debilitazione generale predispone poi a molte malattie, come ad esempio la micosi esofagea che rende la deglutizione dolorosa e quindi ostacola anche l’idratazione per os o un eventuale supporto integrativo; sono a estremo rischio di infezioni quali polmoniti e gastroenteriti. L’atrofia ghiandolare intestinale che si crea e l’assottigliamento parietale del tratto digestivo, rendono incapaci di digerire e assorbire anche una dieta leggera. I deficit vitaminici causano anemia, beriberi, pellagra, che a loro volta possono causare diarrea, rash cutanei, e scompenso cardiaco. Il deficit sempre maggiore di energia rende la persona sempre più stanca e apatica; quando diventano troppo stanche per muoversi o anche per mangiare, la loro interazione con il mondo circostante diminuisce progressivamente. Quando si alterano ulteriormente gli equilibri biochimici, si precipita verso il coma, preambolo del decesso.
Con il digiuno prolungato le forze vengono meno e diminuisce l’interazione con il mondo, ma l’interazione con il mondo è già persa completamente con il 41 bis. Una telefonata al mese, una visita al massimo di un’ora al mese, a distanza e senza alcun contatto fisico; pochi o nessun oggetto personale (neanche libri, musica?), scarsi contatti anche con le guardie che però ti sorvegliano 24 ore su 24. Isolamento totale, noia, buio, nulla, tic tac, deserto, pensieri ossessionati e infiniti in un loop, disagio psichico, morte in vita… e non per uno o due mesi, ma per tutto ciò che ti rimane da vivere. E non sei un capo mafioso, ma un anarchico che non ha ucciso nessuno ma ha lo stesso commesso una strage contro la sicurezza dello stato (piazzando degli ordigni a basso potenziale in piena notte in 2 cassonetti fuori da una scuola di carabinieri). Dura lex sed lex: nessuno discute la pena, ma l’applicazione del 41 bis per questo caso.
E il medico che segue un carcerato che fa lo sciopero della fame, cosa può fare? Poco o niente forse, se non monitorare, parlare, informarlo delle conseguenze delle proprie scelte, informarlo sull’evoluzione clinica del digiuno prolungato e prendere atto delle sue decisioni e della sua volontà, magari concordare insieme un piano di introito energetico/calorico per l’attenuazione dei sintomi se accetta. E stargli vicino, assisterlo sotto tutti gli aspetti, non solo organici ma anche psichici, come la nostra professione ci impone.
Salvare una vita non è cedere a un ricatto. Salvare una vita è qualcosa di prezioso.
Se niente ci salva dalla morte, che almeno l’amore ci salvi dalla vita.
(Pablo Neruda)
BIBLIOGRAFIA
Miller I. A History of Force Feeding: Hunger Strikes, Prisons and Medical Ethics, 1909-1974. Basingstoke (UK): Palgrave Macmillan; 2016 Aug 26. Chapter 4, ‘A Few Deaths from Hunger Is Nothing’: Experiencing Starvation in Irish Prisons, 1917–23.
Ropaam Bassi, Saurabh Sharma – Starvation: by “ill” or by “will” – Review Article – Current Trends in Diagnosis and Treatment, January, June 2018, 32-40
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